Animali domestici che aumentano, cacche di cani per strada che crescono.
Relazione direttamente proporzionale.
Peccato però.
Perché questa è un’occasione perduta per dimostrare rispetto e poter chiedere rispetto.
Il tema non è nuovo, aldilà dei dati sempre crescenti sul numero di animali domestici nelle case degli italiani.
E chi si occupa di gestire i rifiuti, sa che questo diventa un impiccio oltre che una fonte di costo quando i proprietari di cani non si comportano educatamente.
Vi racconto due storie che approcciano il problema in due modi completamente diversi.
Il primo targato autunno 2021 coincide con una campagna video e su manifesti messa in atto da Barsa, azienda pubblica di gestione rifiuti a Barletta.
Il video che di fatto è uno spot mostra escrementi canini abbandonati su diversi marciapiedi e si chiude con un rimprovero a doppio senso: Barletta è piena di str***zi (quelli che non puliscono le feci dei propri cani).
Pochi giorni fa leggo questa notizia ben più recente che riguarda lo stesso problema ma a Roma. In questo caso però l’approccio è totalmente differente: tre studenti dello Ied di Roma hanno deciso di celebrare le deiezioni dei cani che attraversano Via Giovanni Branca, nel quartiere Testaccio. E così hanno inventato la Dog shit experience, una piccola “mostra di street art” che trasforma gli escrementi in opere d’arte, mettendoli sotto teca con didascalia come avviene in un museo. Scelgono una provocazione.
Ecco quindi due risposte completamente diverse ad un problema che ha lo stesso nome e che si profilano entrambe (quasi) come nudge. Il primo usa la riprovazione sociale anche se non indirizzata, per cui, secondo me, non è un nudge, il secondo aumenta ed evidenzia il problema rendendolo ancor più esplicito (usa il bias dell’evidenza) con un linguaggio intriso d’ironia (che ci sta benissimo).
L’obiettivo è attivare comportamenti migliori e il mezzo è scuotere le coscienze individuali (che si spera diventino collettive); il primo approccio usa un duro e crudo rimprovero, il secondo agisce con l’ironia sottile dell’arte.
La domanda che mi resta in bocca è se una comunicazione che rimprovera, offendendo in questo caso, sia più efficace dell’altra.
Chiederò a Barsa che esiti abbia avuto ma temo che non sia stato costruito un gruppo di controllo per poi misurare i risultati.
In sostanza rispetto a questo problema, il mezzo che usi (aldilà del nudge) è migliore di un altro solo se in grado di produrre un comportamento migliore.
E scopro che a Roma un po’ di mesi fa circolava anche l’idea di effettuare test del Dna sulle feci abbandonate.
E allora non resisto alla tentazione di suggerire un’altra soluzione parecchio provocatoria: transennare tutti i marciapiedi per almeno due settimane, ma anche più se possibile, quando appaiono feci stanziali.
Da comunicare in anticipo affinché tutti sappiano che i comportamenti sbagliati diventeranno un disagio collettivo. E quindi ancor più esecrabili.
E le transenne non dovranno essere semplici da scansare; in più via via che passano le settimane, la durata della transennatura aumenta.
L’effetto di second’ordine può essere una gara a chi fa transennare più metri quadrati di marciapiedi anche se è immaginabile che le persone disagiate (bias dell’avversione alla perdita) guarderanno con più solerzia i passeggiatori con cane e finalmente si attiverà anche un po’ di attenzione collettiva che in questi casi può aiutare.
Che ne pensate?