Non molti sanno cosa sono gli Okr, Objectives and Key Results.
Sono un modello di gestione aziendale che permette di allineare gli obiettivi, dal board o Ceo, fino all’ultima unità responsabile. La chiave sta nel fatto che i key result, che sono le condizioni che se soddisfatte assicurano il raggiungimento dell’obiettivo, diventano obiettivi dei livelli specifici inferiori.
In questa catena logica ideale anche il livello operativo più basso ha obiettivi da raggiungere che concorrono ai risultati finali complessivi.
Obiettivi e key result di ognuno sono pubblici, il che permette una discussione per garantirne coerenza e allo stesso tempo costituisce un impegno verso gli altri.
Il modello gestionale non si limita solo a ciò perché ha altre specificità, anche contro quanto viene di norma praticato nelle aziende pur evolute, che lo rendono ancora più interessante e i cui contenuti sono tutti da scoprire nel libro di John Doerr “Rivoluzione OKR”.
Il tema ha delle forti inerenze con il cambiamento
E arriva da lontano perché è stato inventato e implementato negli anni ’70 da Andy Grove in Intel, dove lavorava John Doerr. Quest’ultimo, diventato un investitore nella Silicon Valley, ha diffuso questo metodo nelle start up in cui ha investito, tra cui Google, e ci ha permesso di conoscerlo grazie al libro prima citato.
Veniamo all’oggi
Da poche settimane è uscito un suo nuovo libro, Zero emissioni con OKR.
Con oltre quaranta pagine di note bibliografiche affronta il bollente e attualissimo tema dei cambiamenti climatici e delle emissioni da abbattere con metodologia OKR.
Il tema è immensamente sfidante e Doerr, da uomo d’industria, racconta best practice e percorsi di impresa (tutti americani) che dimostrano come e quanto si possa fare in questa direzione grazie alla caparbietà in primis di singoli visionari, che, affrontando un tema, step by step riescono a metterlo a terra (che brutta parola).
Agli americani e ai loro immensi sogni di futuro questo approccio piace da matti; noi europei siamo più figli di una visione culturale diversamente articolata. Facciamo più fatica ad innamorarci di singoli one man show perché abbiamo un approccio più sistemico e anche più attento alle policy.
E qui il mio pensiero va ora al progetto PSLifeStyle, conosciuto di recente, che lavora con interviste, raccolta di dati, analisi di comportamenti e spinte al cambio di comportamento per poi immaginare proprio dei suggerimenti di policy europee in grado di tenere insieme attitudini differenti tra paesi membri diversissimi. Queste sono le progettualità di grande valore metodologico (oltre che di contenuto) di cui noi europei siamo maestri.
Comunque le descrizioni di Doerr sono davvero ricche di aneddoti e perfette per trarne ispirazione per chiunque sia a caccia di spinte motivanti da donare a se stesso o ai propri amici o follower.
L’auspicio è che davvero il metodo OKR traslato sulle emergenze ambientali possa aiutare le imprese a perseguire obiettivi di valore.
Vi lascio con un dato che mi ha particolarmente colpito: a pag. 194 J. Doerr cita uno studio di Harvard University del 2019 che dice che “tra il 1900 e il 2006 ogni movimento politico che abbia ottenuto la partecipazione attiva e continua di almeno il 3,5% della popolazione, ha avuto successo”. Negli Stati Uniti di oggi questa percentuale corrisponde a 12 milioni di persone e in Italia a 2,1 mln.
Numeri che fanno riflettere visto che siamo alle soglie di un’inaspettata (fino a pochi giorni fa) scadenza elettorale.
NB. complimenti a chi ha curato la sua impaginazione.