È un argomento su cui fiumi di parole sono state dette e vengono dette da anni.
Rendere consapevoli le persone trasmettendo conoscenza può bastare ad attivare il cambiamento?
Chi si occupa di design dei comportamenti sa che il sapere purtroppo spesso serve a poco.
Thaler e Sunstein nel loro primo libro sul nudge citano un esemplificativo test svolto negli anni ’60 all’università di Yale che consisteva nel proporre agli studenti di vaccinarsi contro il tetano presentando i rischi del non farlo e ad un altro gruppo di testati fornendo indicazioni su dove recarsi per farlo. Costoro aderirono al 28%, i primi testati aderirono solo al 3%. Eppure tutti sapevano dov’era il laboratorio presso cui andare a fare la vaccinazione.
Pare quindi che le indicazioni operative possano funzionare meglio delle urla allarmiste.
A tale riguardo, in occasione del TedxRE Salon del 2 marzo che ho introdotto e moderato, abbiamo scelto di raccontare, invece che proiettare, un magnifico Tedx del 2017 dello psicologo e economista Espen Stoknes che individua le 5 difese che il nostro cervello innesca e ci impietriscono portandoci all’inazione con 5 possibili soluzioni.
la prima è la distanza, i problemi del clima ci appaiono distanti nello spazio e nel tempo, quindi gigatoonellate e secoli sono unità di misura che non abbracciamo. Restano lontane dal nostro percepito e quindi ciascuno di noi si sente irrilevante. Molto meglio occuparsi di cose semplici e su cui ho modo di rilevare: casa, figli, lavoro, relazioni di amicizia, gestione del profilo facebook…tutte cose che ci appaiono più reali.
Il secondo ostacolo è il doomism, cioè il fatto che il climate change appare come un insieme di catastrofi che genera assuefazione per cui ci si convince che non c’è più nulla da fare. E’ inevitabile.
Oggi a distanza di qualche anno da quel Tedx, il DOOMisM sta diventando virale e per contrastare l’inazione è nato OK DOOMER: nuovo grido di battaglia degli attivisti per il clima.
Il terzo ostacolo è la dissonanza data dal fatto che se ciò che normalmente facciamo (per esempio mangiare carne rossa senza farci domande, usare auto a metano o benzina, ecc) confligge con la rivoluzione ambientale nella quale crediamo, entriamo in un disagio emotivo perché o cambio ciò che faccio o cambio ciò in cui credo. Questo ci porta a formulare giustificazioni, guardiamo l’auto ben più grossa della nostra che il cugino o il vicino possiede, diciamo che il gesto del singolo è meno che una goccia nell’oceano, che il clima da sempre cambia e genera anche danni. Queste narrazioni ci fanno sentire meglio e di fatto orientano le nostre azioni.
E siccome esse non cambiano e continuiamo a produrre errori, così si arriva al quarto stato, quello della negazione che Stoknes definisce uno stato mentale in cui mi comporto come se non sapessi la gravità di quello che razionalmente so. E spesso familiari e amici tacciono rendendosi complici. I negazionisti inoltre adottano la tecnica del cherry picking, “raccolta di ciliegie”, cioè selezionano le informazioni che possono servire a sostenere le loro tesi (bias della conferma), ignorando e controbattendo, se serve, a tutti quelli che la smentiscono. Il negazionismo crea anche teorie complottiste, quando denuncia presunte manipolazioni di scienziati o tecnici, e insinua l’esistenza di piani occulti dietro alle politiche per il clima. In tal senso basti pensare alla parabola della Xylella nel Salento e la triste vicenda della sua gestione cavalcata dai politici locali che ha portato al disastro oggi sotto gli occhi tutti.
Il quinto ostacolo è l’identità culturale di ciascuno di noi, quella che per esempio genera nei più conservatori minor disponibilità ad accettare norme stringenti da parte delle istituzioni governative e chieste dagli attivisti del clima. Il rifiuto di subirle porta costoro a seppellire o calpestare la realtà.
Da qualche anno a questa lista di barriere si aggiunge il fenomeno del free riding: se sappiamo che qualcuno fa qualcosa, allora meglio per noi! se ne occuperà qualcun’ altro di salvare il mondo!
Al fine di superare questi 5 ostacoli e soprattutto la dissonanza cognitiva, Stoknes offre le 5 S.
La prima è il Social, riuscire cioè a portare nella nostra quotidianità le norme sociali per diffondere le buone azioni creando comunicazioni che evidenziano i buoni comportamenti dei nostri vicini. quanto più si diffondono tanto più per imitazione e desiderio di essere come gli altri le perseguiremo.
La seconda S è il Supporto o Sostegno delle buone azioni come salutari. Le scelte giuste vanno valorizzate come sane per ciascuno di noi, per la salute di ognuno ed anche di tutti.
La terza S è quella della semplicità, rendere cioè le scelte virtuose facili, accessibili, congegnate con cura come fa il nudge.
La quarta S è il Signal e quindi il fornire feedback che motivano e generano anche micro-attenzione intorno ai comportamenti virtuosi.
Infine la S di Storie, riuscire a raccontare storie positive di chi è riuscito a cambiare, di chi per esempio è riuscito a scegliere un’auto elettrica con soddisfazione e senza pentimento.
Perché le storie positive sono contagiose, sono memorabili, diventano fatti degni di essere condivisi anche sui social, e così torniamo alla prima S.
Questo è anche l’obiettivo dei Tedx.
In questo caso TedxReggioEmilia Salon con il sostegno di Iren ha raccontato delle storie ricche di senso nel format TERRA.
Abbiamo davvero ancora bisogno di trovare parole giuste e narranti per i temi che ci interessano.
Appuntamento allora all’ultimo rendez-vous il 23 marzo. Iscrivetevi!